Foto: Maiella Restaurant, New York
La parola ristrutturazione provoca spesso il brivido lungo la schiena di chi la pronuncia, specialmente se non addetto ai lavori.
Quando questa riguarda i locali di un’attività, sia essa di ristorazione piuttosto che after diner, alla semplice apprensione, si sommano i timori che tutto questo possa avere ricadute negative sul business.
Le ragioni per ristrutturare un locale possono essere varie: dall'aver rilevato un’attività che necessita di un revamping, aprire un’attività tout court, o forse rilanciare o rinnovare il proprio business dopo qualche tempo.
Il panorama delle imprese impegnate nella ristorazione è complessivamente positivo, c’è dunque lo spazio per accrescere il giro d'affari, per questo un interior design adeguato è funzionale ad avere una location degna di nota in linea con questo proposito.
Ma quali sono le insidie ed il rischi che si affrontano?
- Prima tra tutte un ever green, quello che gli antichi greci definivano μηδεν ἄγαν, ovvero “niente di più”, ovvero il brutale ma efficace “fare il passo più lungo della gamba”.
- Secondo, e principale: non ottenere il risultato sperato dal committente stesso o paventato dall’architetto.
- Terzo, e più importante: perdere il controllo dei costi.
- Quarto: perdere il controllo dei tempi.
- Quinto: non avere un panorama chiaro delle competenze. Chi si occupa del progetto? Chi si occupa di raccogliere i preventivi? Chi delle autorizzazioni? Del mobilio? Delle eventuali beghe condominiali? Soprattutto, chi coordina gli aspetti interdisciplinari come rapporto spazio-organizzazione del personale, o del mobilio con le funzionalità degli apparecchi da cucina?
- Sesto, e costante in ogni lavoro: come vengono gestiti gli imprevisti?
Tutti questi dubbi, problemi quando si verificano, possono essere scomposte e regolate con la giusta pianificazione.
Il punto di partenza è ancora una volta un antico assunto: γνῶθι σαυτόν. “Conosci te stesso”, ovvero la tua attività, il suo funzionamento, solo così si esprimeranno i giusti input al progettista. E poi “ γνῶθι αρχιτέκτoν”, conosci l’architetto, non personalmente, ma ciò che fa e cosa gli è più familiare. L’hospitality design non è qualcosa nel quale ci si può improvvisare.
Conoscerne i gusti, la passione nel tema progettuale che gli viene proposto, l’abitudine al confronto con i temi pratici del cantiere, la conoscenza delle norme tecnico-urbanistiche, e più importante la capacità di ascolto delle esigenze ed aspirazioni del cliente.
A questi buoni presupposti, sarà sufficiente abbinare le principali best practices, e naturalmente tanta passione.
- Primo: non avere frenesia nella fase preparatoria, soffermarsi nell’approfondire insieme i dettagli, osservare con attenzione le rappresentazioni grafiche prodotte dall’architetto prima di muovere alle fasi esecutive.
- Secondo: investire sui servizi di progettazione e direzione dei lavori, quale logica ha risparmiare mille sulla figura che ci aiuta a gestire centomila? Si affiderebbe un contenzioso dove in gioco ballano cifre importanti all’avvocato più economico?
- Terzo: assicurarsi che ci sia un percorso chiaro di coordinamento dei tempi tra i vari attori ed imprese impegnate nella ristrutturazione, gli stessi preventivi devono contenere i tempi in relazione allo stato di avanzamento dei lavori.
- Quarto: se il proprietario non intende assumere su di sè l’onere di coordinare gli attori in campo (progettista, impresa, fornitori edili,fornitori di mobilio, etc), occorre non disperdere le competenze tra più figure. L’architetto, se previsto dall’incarico, può svolgere questo ruolo.
- Quinto: prevedere tutte queste accortezze nei contratti che si stipulano, ed assicurarsi che l’architetto giochi dalla stessa vostra parte, egli è colui che garantisce la committenza nei confronti di imprese e fornitori, nelle sue funzioni di progettista e direttore dei lavori.
Buona ristrutturazione!